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SUBTITLES

Stay hungry, stay foolish sarebbe la frase di riepilogo dell’anno che si è concluso. Vabbè, penso che hungry ci siamo un po’ tutti ma per foolish potremmo aprire il dibattito. Nel dizionario stracciato delle scuole medie foolish sta per sciocco, stupido, assurdo ed è l’ultima parolaccia che descrive la fragilità di Lucia Manca e del suo album omonimo che scava (dig it nel vocabolario beetlesiano) negli antichi equilibrismi umani. Assurda è la fragilità umana o il mondo che la cannibalizza? Lucia Manca non ha dubbi e si spoglia del mondo per armare le pistole della serenità “calde e pronte a sparare”. Lucia Manca suona spensierato e trasogna la materia in dieci istantanee dalle tonalità antiche che narrano l’impercettibile equilibrio della bonaccia di lago, la cantautrice riesce a volteggiare leggera sull’acqua senza cadere nei fondi limacciosi e affamati del quotidiano. Assurdo? La mia scimmia non ha “qualcosa” da nascondere, ascolta con gioia la Manca ma sbertuccia tacciandola di mielismo (eccesso di romanticismo ndr), hippiesmo e Belle and Sebastian, che erano un gran piacere da ascoltare, sicuramente più gradevoli delle rumorose movenze di un culo senza peli tra le fronde. Bianco (white?) è l’involucro della demo “Né uomini, né ragazzi” di En Roco un altro fool che tenta di raccontarci l’intimità dell’universo maschile scrivendo con eccessi d’ingenuità e nudismo che rendono il progetto “sperimentale” e musicato da atmosfere soniche che la scimmia attribuisce ai Baustelle e ai primi REM, apparsi dopo la morte in “Oltre il limite”. Blu & blues per “Moonshine once, betrayed me” raccolta di ballad all’inglese delle The Freaky Mermaid che urlar loro fricchettone sarebbe il minimo, e figurarsi se la scimmia non lo farà alla prima occasione utile. Le due Freaky aprono il disco con un blues melodico, dai cori gospel e gli strombazzamenti saggiamente inseriti, poi un murder ballad in esatto stile Nick Cave. La scimmia inizia a sbraitare durante le pulizie di fine anno quando vede “0247” degli To The Ansaphone. Steve Albini il produttore, chitarrista e genietto statunitense fu fonte d’ispirazione dell’album in questione: sperimentazioni di american indie rock e albine con vocalità ed echi di Shellac e Primus. Che bella culata? Ha urlato la scimmia cadendo dalla sedia, dopo essersi accorta che l’anno d’uscita del disco fu il 2003 lontano. Andrea Di Nisio
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