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TRANS AM thing thrill Jockey Records, 2010

Basta leggere l’intervista a Sebastian thompson, pubblicata su questo numero di Music Club, per farsi un’idea di cosa ci sia di storto in questo nuovo lavoro di trans am, Thing, ‘cosa’, oggetto sonoro di cui è difficile trovare una spiegazione, soprattutto per chi segue da tempo questo gruppo originario di Washington, capace di creare autentici capolavori post rock, delicati ma potenti, melodici ed energici, strutturati e complessi, delineando linguaggi espressivi unici e multiformi. Ciò a cui mi riferisco è il fatto che i tre componenti di questa band non vivano più insieme da ormai troppo tempo: uno a Portland, uno a San Francisco ed uno tra Londra e New York, con l’innegabile conseguenza di avere pochissimo tempo per sviluppare insieme dei progetti che quantomeno possano ricordare Futureworld, Surrender to the Night o TA che si voglia. dopo una decina d’anni passati a suonare insieme tutti i giorni, ecco che la distanza fisica diventa distanza mentale. Non c’è più il tempo di creare qualcosa di nuovo, ma solo il tempo per rivedersi e fare un disco in fretta e furia, senza che si possa ristabilire tra i componenti della band un equilibrio, un vero dialogo artistico. Frammenti del passato, di linguaggi già precedentemente usati dal gruppo, si ripropogono in thing senza una vera ragione, per arrivare ad una soluzione di estremo ripiego. Una band fortemente intellettuale, che lavora e compone in trio, deve crescere e vivere insieme molto tempo per potersi sviluppare e raggiungere nuovi orizzonti artistici, sonori, musicali. Non può certo soddisfare questo disco, dove il vocoder è usato con contagoccie, ma, peggio ancora, tutti quanti i brani avrebbero funzionato bene come intro di uno qualunque dei loro dischi precedenti. Nella noia più totale, persino i solo di batteria di Sebastian thompson, che è e rimane un eccellente interprete del suo strumento, finiscono per annoiare. Una raccolta di intro dei trans am, e nulla più. Ecco come può essere definito Thing. Il disco del futuro scioglimento di questo gruppo, se le cose continueranno a procedere così, verso un allontanamento reciproco costante e continuo dei 3 componenti di uno dei gruppi che ha contribuito a creare il genere post/rock ed a coniarne le forme espressive. Il grave problema di questo progetto musicale, ad oggi, nel 2010, è inoltre percepibile anche vedendo solamente uno dei loro concerti. Non che i Trans Am siano degli ex musicisti, ma il fatto innegabile è la mancanza di coesione pure nei live show, uno dei loro punti di forza (dal vivo erano compatti in un modo determinante). Il sound, i synths, le leggere intuizioni, sono sempre interessanti, ma è come se non ci sia stato il tempo di delineare strutture compositive degne del passato di questo gruppo, né di studiare per bene una live performance capace di stupire, di sorprendere, di soddisfare i palati del loro pubblico, resi fini dalle aspettative ovviamente derivanti da quanto erano abituati a vedere in passato. Un vero peccato, una mancanza che personalmente sentirò, ma i Trans Am stanno finendo, a meno che non intendano vivere più tempo insieme. Sempre sperando che si sciolgano per creare nuovi progetti, un po’ per salvare la loro nomea, un po’ perché si sente il bisogno del loro lavoro intellettuale, in questo caso completamente scolorito, se non assente. Sempre sperando che tornino sui li velli che loro compete, per smentirmi del tutto. Sempre sperando che nessuno intenda conoscere Trans Am partendo con l’ascolto di Thing, perché, davvero, si perderebbero qualcosa. Simone Bertasa
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