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KANYA SAMET Entre deux je Universal, 2005

Cinque minuti dopo avere buttato le valigie in un angolo del mio appartamento – buco – parigino, scopro che in Francia esiste questa cosa meravigliosa chiamata MTV Base, canale, appunto, del gruppo MTV esclusivamente dedicata alla musica black. Hey, non fate quelle facce da “hai scoperto l’acqua calda”, vi sto parlando del 2005 e in Italia non c’era ancora niente, escluse le repliche di YO! all’ una di notte. Tornando a noi, il video di Écorchée vive è uno dei primi che passano e ne rimango immediatamente affascinata. La canzone è intensa, sofferta, e la voce della giovane cantante graffiante, ma morbida. Mi dico che devo assolutamente avere il cd… Ne recupero una copia alla Fnac e scopro così il resto di Kanya Samet. Scopro che viene da Nizza, che ha origini algerine e scopro il perché del titolo dell’album - Entre deux je, letteralmente “fra due me” – all’interno del libretto: “Laggiù, i miei, abusivi nelle bidon-villes, sognano una barca verso una Francia tranquilla, lontano da tutto. Io sono cresciuta lontano dal porto di Algeri, in quella che chiamano una zona sensibile, in ginocchio, persa in cerca di identità, devo tenere le mie origini sull’attenti. Ho voluto sapere chi io fossi, giovane Francese e Magrebina a corto di tutto.” E la ricerca di se stessa, delle proprie origini, è l’esigenza presente in tutte le canzoni dell’album. Così come la disperata ricerca di una soluzione alla lacerazione insanabile – la stessa che in qualche modo ha portato ai moti nelle banlieues parigine proprio nel 2005… ricorderete le auto incendiate… - prodotta dalla migrazione, per cui non ci si sente pienamente parte né di una cultura né di un’altra: non ne posso più di sbattermi per trovare lavoro/di essere giovane e delusa/di camminare sulle mie stesse tracce. Musicalmente l’album funziona: ci sono pezzi più spiccatamente hip hop, come Tueuse née, Mon tour, in featuring con Sinik o Besoin de renâitre, bellissima, che vanta la collaborazione con Soprano, colonna della black music marsigliese. Altri più funkeggianti, come Underground, in cui Kanya ricorda la fine degli anni ’90 e i primi incontri con la street culture. Altri ancora, più soul e struggenti, come Sol pleureur e Le barreau des coeurs in cui la cantautrice rivela tutte le sue debolezze, le sue paure e quel mix di solitudine, straniamento e confusione spesso manifestato da quella che i sociologi chiamano “la terza generazione di immigrati”. Ad onor del vero, devo dire che l’album non ha avuto un successo esagerato, però vi assicuro che merita. Il secondo album di Kanya, prodotto da Sinik sempre per Universal, è stato pubblicato quest’anno. S’intitola Second Souffle. Bentornata Kanya. Kia
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