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CRISTIANO MARAMOTTI

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Cristiano, emiliano di Gualtieri, ha una pronuncia che non può certo tradire le sue origini, dalle quali peraltro non si è mai veramente staccato – a parte una felice parentesi fiorentina “città meravigliosa”, come dice Cris, negli anni passati a suonare con Piero Pelù – e un entusiasmo contagioso nel raccontarsi e tracciare una precisa parabola della sua carriera, iniziata prestissimo (a quanto pare) “Mia mamma voleva trovare al più presto il mio vero talento e vedendomi attratto dalla musica in maniera assai spontanea, mi iscrisse a uno di quei concorsi canori per bambini: avevo 4 anni e cantavo benissimo!”, ricorda Maramotti alla mia domanda se fosse uno dei tanti “folgorati” della chitarra. “Ho iniziato davvero presto a imparare gli accordi, andando a scuola da un maestro di Brescello. Si respirava davvero un clima da “Don Camillo e Peppone”, erano passati da poco gli anni di quei film, ti sto parlando della fine degli anni ’60, l’atmosfera era quella lì” “Ho cercato ben presto un mio stile, nonostante avessi ancora una scarsa tecnica da ragazzino ma mi applicavo, suonavo, facevo corsi, ero curioso e interessato a ciò che proveniva da fuori. Nelle grandi città andava un certo tipo di rock, da noi in provincia le cose arrivavano più in ritardo ma se ci pensi è un po’ tutta la cultura rock in Italia ad essere “provinciale” rispetto a ciò che nasceva all’estero. Fossi andato a studiare in America avrei appreso ben prima i segreti del jazz, da professionisti veri e negli ambienti giusti. In ogni caso ho avuto dei grandi maestri anche qui, ho studiato a Parma e soprattutto suonato molto, in gruppi di cover all’inizio. E’ molto utile, indubbiamente, ma poi viene voglia di cimentarsi con la composizione, con la creazione di pezzi tuoi” “Suonavo già la chitarra quando morì uno dei miei idoli, Jimi Hendrix, ma in quegli anni, nei ’70, emerse tutta la migliore generazione di chitarristi, da Jimmy Page a Ritchie Blackmore a tanti altri. Ascoltavo di tutto, anche i Sex Pistols che andavano tanto di moda, ma ero attratto già da giovanissimo dal jazz. Ho visto in concerto Miles Davis, Dizzy Gillespie ma anche Jaco Pastorius, in un periodo in cui anch’io con i miei gruppi provavo a fondere il rock con la fusion, seguendo l’esempio dei grandi. Un altro che mi ha segnato con il suo modo di suonare la chitarra è stato Stevie Ray Vaughan. In ogni caso, io ho sempre suonato una Stratocaster, anche se da adolescente non avevo ancora un impianto adeguato. Fu un caro amico che possedeva un impianto fortissimo a farmi provare cosa volesse dire la potenza di un’elettrica. Da lui poi scoprimmo pure i Genesis, gruppo fantastico quello nel periodo di Peter Gabriel: un rock, una musica davvero mai sentita prima di allora, una autentica rivelazione. ” Alla mia domanda su quando avesse capito che la musica sarebbe stata la sua professione, Cristiano mi ha risposto in modo divertito: “Non c’è stato un vero momento, ho sempre suonato. Avrò avuto 18/20 anni ma già suonavo da tanto e in zona mi conoscevano, così un giorno Cico Falzone, che all’epoca suonava con una cantante pop molto in voga, Viola Valentino, mi disse che stava per passare in un gruppo come chitarrista (senza fare allusioni ai Nomadi) e mi propose come suo sostituto. Devo dire che fu una bella esperienza, anche se ovviamente non era il genere di musica che suonavo, nè tanto meno ascoltavo. Però è stato il mio primo tour, mi pagavano bene. Se per quello non mi vergogno di dire che, all’inizio della mia carriera, ho suonato pure nel gruppo di Orietta Berti, in mezzo a bravissimi musicisti. Poi mollai per seguire strade più consone alla mia indole, ma anche lì è andata bene, pagavano benissimo! :-)” Wow, Cristiano Maramotti chitarrista di Viola Valentino e Orietta Berti, chi l’avrebbe mai detto? Ma torniamo al racconto, quando in realtà hai cominciato a fare sul serio in ambito rock? “Dopo quelle esperienze, in realtà, comparivo sempre più in altri dischi, andavo a incidere. Un’esperienza forte e in un certo senso illuminante è stata quella con Danilo Fatur, che era da poco uscito dai CCCP. Fondammo insieme i Fax, un progetto folle con Marco Bortesi e Max Pieri, Fatur non era un vero e proprio cantante, ma un animale da palcoscenico e noi musicisti creammo un tappeto sonoro pazzesco, fatto di sfuriate rock, qualcosa di assolutamente innovativo e alternativo in quei primi anni ’90. Fatur declamava slogan, urlava proprio: insomma, ci divertimmo alla grande, fu una bella esperienza ma davvero troppo forte per il mercato di allora” Proseguivi poi i tuoi studi e le tue collaborazioni. “Certamente, non ho avuto momenti lunghi sabbatici, suonai in un nuovo gruppo di cover: c’erano validi musicisti, il nostro batterista poi entrò a far parte del gruppo di Nek. Ho suonato nei Gang dei fratelli Severini, bellissime persone e ottimi musicisti ma francamente facevano fatica a “mantenere” un gruppo numeroso. In ogni caso, suonai con loro nella tournèe di apertura a Ligabue, c’erano pure i Negrita. Facemmo San Siro, una grande emozione!” Si arriva all’incontro con Piero Pelù, da poco uscito dai Litfiba e all’apice di una possibile grande carriera solista, sulle orme di Vasco e Liga. La storia ha detto diversamente, visto che è alla fine tornato a collaborare con Renzulli, riformando il gruppo storico. “Fu Franco Caforio a dirmi che Pelù cercava un chitarrista e stava provando varie soluzioni, prima del suo esordio ufficiale. Io affrontai il provino con molta tranquillità, sapendo di avere uno stile mio ormai consolidato. Tutto andò per il meglio, rincontrai pure Daniele Bagni, che già suonava con lui nei Litfiba e che io conoscevo da tempo per aver condiviso un’esperienza nel gruppo di Paolo Belli” Si può ben dire che quello con Pelù fu il tuo momento di maggior popolarità a livello nazionale, di maggior visibilità. Oltretutto nell’ambiente c’era grande curiosità e interesse nello scoprire il nuovo braccio destro di Piero, dopo i fasti con Renzulli. “Certamente a livello mediatico fu il mio apice, eravamo sempre in tour, in televisione, sempre con la mia chitarra a tracolla dietro. C’erano tantissime aspettative e, almeno per il primo album la cosa funzionò benissimo, c’era anzi grande alchimia tra noi musicisti. Si stava cercando di fondere il rock con elementi latini, qualcosa alla Red Hot Chili Peppers, suonavo pure una Telecaster come Frusciante. In più Piero canta indubbiamente meglio di Anthony Kiedis. Poi però le molteplici idee e l’energia che mettevamo nelle numerose e lunghe prove un po’ si perdeva in sala, con tutto il lavoro di produzione dietro che doveva rendere il prodotto più “pop” possibile. La cosa all’inizio non ci pesava ma poi con i successivi album i nodi sono venuti al pettine. Prima Terzani ha lasciato il gruppo, era uno che forse diceva un po’ “troppo” la sua nei confronti di Piero. Io partecipai anche alla stesura di alcuni brani, tra cui “Presente” e “Lentezza” ma al termine di una tournèe in una data in cui a Piero erano “girate” ci disse di suonare con chitarre acustiche “elettrificate” e l’esibizione venne male, perchè non provata prima. Un giorno in estate, lo chiamai dicendogli che non mi andava più di continuare con lui e la collaborazione finì, ad ogni modo era un po’ nell’aria che sarebbe tornato con Renzulli. Ma io non me la sarei sentita di partecipare ai nuovi Litfiba. ” Ti rendevi conto che Piero Pelù nella fase solista era attratto dall’idea di diventare “popolare” a tutti i costi: era sempre in tv, ha fatto il duetto con Anguun, ammiccava molto al pubblico generalista “Già, “l’amore immaginato”… Mah, non credo che Piero avesse bisogno di popolarità, era già famosissimo, tutti lo conoscevano. Forse era anche un po’ “spinto” in certe direzioni. In ogni caso è stato un buon periodo, ricco di soddisfazioni. Facemmo dei grandi e affollati tour, suonai al Live Aid, ebbi modo di conoscere artisti come Santana! Fu inebriante in un certo senso, poi però abbandonai il progetto e poi rientrai in pista con Graziano Romani, un artista davvero poliedrico, originale. Suonai anche con un gruppo di famosi chitarristi, tra cui Solieri, Max Cottafavi ma il progetto era un po’ estemporaneo, non aveva tanto senso. Ne ho approfittato per tornare a “studiare” la mia amata musica jazz” “Cosa è cambiato di più in questi anni nel modo di fare musica. E’ più facile o più complicato per i giovani gruppi di oggi emergere a certi livelli?” “Credo che sia migliorato, e di molto, l’aspetto “tecnico”, le sale di incisioni, le produzioni. Si “produce” letteralmente un fenomeno, si punta sempre più al “pop”, ma quella non è vera musica, è immagine, business puro e certa musica non è fatta solo di business e mercato, ci vogliono cuore, passione” Quella che sembra proprio non mancare a un “vecchio” ragazzo come Cristiano Maramotti che, poco prima di salutarmi calorosamente, ha anche il tempo di dirmi che si troverà a suonare con un gruppo di validi musicisti tra cui Cottafavi e il chitarrista dei Mamamicarburo (ottima band alternativa degli anni’90), e un giovane asso della chitarra, emulo del grande Jimi Hendrix, Moris Pradella.

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