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VERT

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Chi l'avrebbe detto che Vert si sarebbe buttato sull'electroshifting con tali risultati. Proprio lui che, partito dall'accademico esperimento del Köln konzert, era approdato a una faticosa alternativa del suono Mouse On Mars farcito di classica contemporanea e piccoli fuori programma. Tra questi c’era il ragtime di Octatone Rag, un indizio di quel che sarà, una pianola da vecchio West che dava il tempo a un micro-funk smaltato di jazz. Era uno degli episodi migliori del precedente Small Pieces Loosely Joined e proprio da questa base il musicista riparte e si reinventa. Capovolgendo il modus operandi, l'elettronica entra in un gioco di sponda, il suonato diventa prima donna e il digitale maggiordomo. E il gioco ci sta, eccome, inserendosi nel trend del momento e distinguendosi nettamente da tutti gli altri (Señor Coconut, Fs Blumm, Squarepusher, Triosk ecc.). Ultimamente si è parlato di laptoppers che smessi i seriosi abiti della ricerca si sono buttati nel suono acustico, di gente che ha iniziato ad assoldare musicisti rimanendo dietro le quinte, oppure si è cimentata in prima persona cantando e suonando. Vert ha scelto la seconda strada: si è trasformato in eclettico à la Waits coniugato Beck, rifondandone il sound a partire dall’amore per il ritmo, prendendo spunti ma mantenendo le linee estetiche. Si parte dunque dal ragtime, il genere feticcio, da lì al musical degli anni 40, alle ballroom, ai veli jazz e persino alle confidenze Tin Pan Alley tanto amate dai Mercury Rev disertori (la riuscitissima October, la ancor più completa Yrs che parte da una base minimalista e sconfina poi in un rap di casa Anticon), il passo è breve, immediato e soprattutto naturale. L'elettronica, si diceva, gioca di carambola, il suo uso è sornione, ironico. Un'emblematica It Is So compie lo switching dai territori più propriamente Sonig bazzicati in passato a quello d’antan: qui gangster da B-movies narrano storie spalleggiando fiati e xilofoni, mentre uno specchio d’acqua electro s’agita come olio per pistoni. Ma poi c’è molto altro: il singolone Velocity inscena un’altra di quelle micidiali basi charleston unendo clapping hands e linee di contrabbasso per un ritornello adorabilmente idiota come neanche gli Architecture In Helsinki, poi c’è il flipper ritmico e le sincopi di This One, sorta di Beck song in combutta con Andi Toma e aperture turco-circensi, e infine c’è tutto il territorio Swordfishtrombones waitsiano riscoperto e reinterpretato narrativamente con le magnifiche The Familiar Girl, Paper Wraps Stone e Words, dove legnosità e fumosità sanno di nuovi e vecchi proibizionismi, di musica vintage che più attuale non ce n’è. Anche un brano come Step Under The Bulbshine, messo in fondo alla scaletta, avrebbe qualcosa da dire al cutting dei Matmos, come sono tantissimi i tocchi di genio dell’“elettronica tra parentesi” di Vert. Sono tutti indizi di un prodotto che non teme confronti con i propri riferimenti, soprattutto è album che s’ascolta a doppia mandata, in grado com’è d’intrattenere semplicemente come una raccolta pop. L’impressione è che Some Beans And An Octopus abbia ricoperto un mondo creandone uno nuovo. Uno dei dischi dell’anno. www.v-e-r-t.com www.myspace.com/vertvertvert

VERT è presentato in Italia da BASEMENTAL

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