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NO AGE

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Il nuovo disco dei No Age ti trafigge sin dai primi secondi: il gioco delle reminiscenze, l'adolescenza e le scoperte che ti segneranno per sempre, la rabbia, le rivoluzioni davanti allo specchio, l'ingenua innocenza che può diventare l'arma più bella nelle nostre mani. "Miner" lacera come un pezzo qualsiasi di "Zen Arcade" degli Husker Du: sono le carezze di Edward Mani di Forbice. Pensi alle tue orecchie che perdono la verginità ascoltando "Loveless" dei My Bloody Valentine, alla melodia sepolta da quelle distorsioni. Non le dimenticherai mai e, probabilmente, non eri pronto a ritrovarle nel 2008. E invece sono qui, nel disco di questi due californiani (di Los Angeles, per la precisione) amici di gente come Liars e Deerhunter, con cui condividono questo amore folle per psichedelia rumorista inglese, che suonano l'unico punk possibile di questi tempi: sintesi e velocità, rumore (tanto) e melodia (idem). L'urgenza di chi vuole gridare tanto in tre minuti scarsi, alzando il volume oltre il livello di guardia. Il tutto fatto con la chitarra, con la batteria, con la voce. Randy Randall si occupa della sei corde, mentre Dean Spunk distrugge la sua batteria e nel mentre canta. Formazione atipica solo se non si ha mai avuto a che fare con gente tipo Lightning Bolt, per dire. "Nouns" segue la raccolta di Ep "Weirdo Rippers" dello scorso anno, un lavoro naturalmente incompiuto perché ad esserlo era il formato originale di uscita di quelle composizioni, fatte di saliscendi continui, di pause e di ripartenze brucianti: un aspetto che non si è affatto perso nel nuovo lavoro, bensì attenuato in favore di una maggiore attenzione a una forma meno dispersiva, più cantabile. Sì, più cantabile, perché a tratti si sfiora il singalong. "Here Should Be My Home" ed "Eraser" sarebbero degli anthem in un mondo perfetto, sarebbero sulla bocca di ogni ragazzino se le cose andassero per il verso giusto, per una volta. Invece succede che i ragazzini cantano i 30 Seconds To Mars e i trentenni (ma non solo loro, dai...) si struggono per i No Age, stupendosi della loro capacità di sposare canzoni pop così immediate con una forma che in verità immediata non è, vuoi per la cattiveria di certi suoni, vuoi per il ruolo secondario assegnato alla voce, secondo la lezione dei già citati My Bloody Valentine. E' ancora l'iniziale e già citata "Miner" a tornare in mente: ascolti, ti perdi un po' tra le melodie graffiate, poi ti accorgi che quell'ansimare in sottofondo sono parole. "I want you choosing me, I feel a common breeze": come un giocare a nascondino e contare fino a che non si capisce quel che la voce dice. Come in "Weirdo Rippers", anche qui c'è spazio per momenti puramente strumentali, un po' alla maniera dei Deerhunter di "Cryptograms". Tappeti di distorsioni lontane, melodie eteree sul punto di affogare. Sembra di sentire gli Spacemen 3 prima del tunnel narcotico, prima dell'ossessione senza fine di ciò che viene dopo lo sballo. www.postpresentmedium.com www.noagela.blogspot.com www.myspace.com/nonoage

NO AGE è presentato in Italia da LIVE NATION

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