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LA MONTE YOUNG

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La Monte Young Just Stompin’ The Forever Bad Blues Band La Monte Young tastiera ‘just Intonation’ Jon Catler chitarra elettrica ‘just Intonation’ Brad Catler basso elettrico ‘just Intonation’ Jonathan Kane batteria Miriam Zazeela light design Tom Dale Keever tecnico luci Bob Bielecki tecnico audio Young’s Dorian Blues in G (1960/1961/...) La Monte Young Il sessantacinquenne La Monte Young, nato nell’Idaho, è uno dei protagonisti di quel movimento musicale rinnovatore e profetico, o meglio profetante, che negli anni Cinquanta e Sessanta ha sconvolto l’ordine delle idee e dei valori su cui poggia anche la più evoluta musicologia tradizionale. Eredi di altri profeti, da Satie a Varése, da Ives a Ruggles, da Cowell a Partch, a Lou Harrison, quelli le cui qualità sono emerse nella seconda metà del secolo, tra i quali Young s’insedia, hanno i nomi di John Cage, Earle Brown, Christian Wolff, Robert Ashley, Frederik Rzewski e Morton Feldman. Anche se nell’insieme li abbiamo definiti movimento, in senso proprio non ne costituiscono uno, ma, al di là di convergenze che sono state anche più che occasionali, ciascuno di loro si è mosso seguendo un proprio “demone”. Quanto a La Monte Young si può dire che un vero e proprio incontro con un’ideologia e un metodo di gruppo egli l’abbia avuto solo negli anni Sessanta, con Fluxus di George Maciunas. Vi arrivava da precedenti esperienze jazzistiche, anche coi giovani Dolphy e Coltrane, e da un interessamento a Webern che l’aveva portato a frequentare Darmstadt, nel 1959, ricevendovi una forte impressione da John Cage. Composition 1960 # 7, del luglio 1960, che è tra i pezzi più noti di La Monte Young, mostra evidente la matrice Fluxus. Si tratta di un accordo in chiave di sol, formato dal si sotto il rigo col fa diesis corrispondente al primo spazio del pentagramma, annotati come semibrevi, con un tratto di legatura che non porta ad altre note, accompagnato dalla indicazione “to be held for a long time” (da tenersi per un lungo tempo). Raccontando le origini di Young Dorian Blues in G, La Monte Young lo data al 1960-61, dicendo anche che, stando alla sua memoria e a quella di giovani che suonavano con lui in quel periodo, anzi negli anni immediatamente precedenti, esso dovrebbe poter essere predatato, al ‘55 più o meno, cioè circa ai vent’anni del musicista. Radicalmente diverso da Composition 1960 # 7 ,Young Blues, che qui è Dorian in G, cioè in modo dorico e in sol, ma che potrebbe essere in modo Eolico, in B, cioè in si, secondo le disposizioni creative del leader della Forever Bad Blues Band, è una composizione che si svolge su una trama costituita da quattro battute sul sol7, due su do7, due su sol7, due su re7 e due sul sol7. Sono le 12 battute canoniche del blues, il cui giro, una volta effettuato, viene percorso di nuovo. Quando, dunque, immersi nella performance, ci troviamo ad aver dimenticato l’inizio, nel corpo della costruzione troviamo di seguito 6 battute su sol7 (le ultime 2 e le prime 4) e quel che segue (2 su do7, 2 su sol7 e 2 su re7), con un effetto di estrema staticità. Gioca un suo ruolo la densità dell’insieme sonoro. Possiamo ipotizzare che uno strumentista voglia suonare Composition 1960 # 7, che è pagina che chiunque disponga di uno strumento che possa fare le due note contemporaneamente può eseguire facilmente (la sola difficoltà è connessa con l’indicazione del tempo lungo, ma solo lungo, l’autore non ci dice quanto, per cui il bicordo dovrebbe risuonare). È probabile che in assenza di pubblico possa farlo una volta: non è un pezzo che lo possa mettere più che poco alla prova. Potrebbe invece risultare interessante di fronte al pubblico, per vedere gli effetti di spiazzamento che possono derivarne. Ma se il pubblico fosse costituito da persone che già sanno che cosa possono attendersi, probabilmente risulterebbe inutile. Possiamo invece prendere in considerazione l’ipotesi che, a prescindere da un’occasione concertistica, un gruppo di strumentisti cominci a girovagare su Young Blues. L’ipotesi non comporta che subentri presto un senso di saturazione, ma, anzi, possiamo facilmente immaginarci che, un giro dopo l’altro, la performance possa durare a dismisura. Vi agisce la forza del blues, cioè di una maniera di pensare la musica che chiameremmo psicoterapeutica. I termini della musicologia accademica non servono a spiegarla, ma lo si può fare molto bene, invece, seguendo Albert Murray. In Ballando il blues (Clueb, Bologna, 1998) egli ci dice come “blues” significhi insieme senso del vuoto, malessere, depressione e lo strumento per liberarsi da ciò. Anche se Murray non riterrebbe Young Blues uno dei migliori esempi possibili, esso manifesta l’identica potenzialità. Chiede una totale adesione e garantisce il risultato. È come il fuoco nel camino, o il mare: si possono passare lunghi archi di tempo a vederne il movimento, dimenticandosi di sé e dei propri problemi. Bisogna però abbandonarvisi. All’interno di quel movimento avvengono addensamenti e rarefazioni che sono percepiti e funzionano solo psicologicamente, che per la musica non ci sembrano significare altro che il movimento in essa della densità, che è di suono e/o di suoni. Come ascoltatori ci si sta finché si subisce il fascino ipnotico che lentamente avvolge. Se questo cade, non c’è più nulla da fare, perché la musica non cambia, se non nei possibili contenuti melodici. La Monte Young predilige al suono temperato quello naturale. Il blues sembra adattarvisi particolarmente bene. Questo è sostanzialmente l’effetto della politica musicale di La Monte Young che, nei termini di Fluxus, trasformatisi poi in quelli del minimalismo, così come in quelli del blues, resta interessato all’esperienza interiore del suono, cioè a come il suono agisce sull’elemento psicologico. In un certo senso è da scettici constatare come si sia esaurito in poco tempo qualcosa che appariva coraggiosa sperimentazione, ma probabilmente è un effetto del peso che la moda culturale ha avuto anche negli orientamenti creativi di Young, soprattutto con misticismo e mediorientalismo (Pandit Pran Nath), il primo oggi dilagante, il secondo in pieno riflusso. Del “gioco indiano” d’allora, nell’attuale musica di Young rimane soprattutto l’opposizione ai tempi nervosi dell’Occidente. Non saprei dire se La Monte Young continui a collocare ogni sua iniziativa nel vecchio progetto della Eternal Music, ma lo strano incontro che egli riuscì a realizzare tra semplicità del suono e attività psichica continua ad essere centrale nei suoi interventi musicali. Giampiero Cane

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