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FERNANDO JONES

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Per festeggiare i suoi trent’anni di carriera la Jona’s Blues Band realizza un album di grande qualità. Gli ospiti sono tanti… oltre a Gianni Franchi, Luca Casagrande, Ranieri De Luca, Marco Corteggiani e Paolo Strina che sono le colonne portanti della Band; troviamo in ordine sparso nei dieci brani dell’album, Linda Valori e Claudia Marss alle voci, Giuseppe Riccardo e Carlo Conti alle ance, Emilio Guidi e Francesco Lattanzi alle tastiere e Lino Muoio al mandolino. Ciliegina sulla torta di questo bel lavoro discografico Fernando Jones, uno dei grandi esponenti della tradizione – vecchia e nuova – del Blues di Chicago. L’album non lascia niente al caso… pennellato com’è con tutte quelle sfumature tipiche del Blues della Windy City. Molti brani sono firmati da Jones, il resto è il frutto della sua consolidata collaborazione con la Band romana, che testimonia così dedizione e gratitudine a Fernando. Un ottimo disco di Chicago Blues, ricco di nuove idee… un concetto che sta alla base del lavoro complessivo di Fernando Jones… “Credo che il Blues è stato danneggiato dalla paura dei musicisti, che continuamente registrano ed eseguono gli standard. Il Blues e la musica Classica sono probabilmente le uniche due forme di musica promosse come forme d’arte conservatrici . Il nostro pubblico merita nuove idee. Per questo motivo, credo che il Blues non sia proprio in forma. Ed è proprio quello che stiamo facendo con il sostegno del Blues Camp, stiamo preparando die liberi pensatori. Io, personalmente, credo che questo è il solo modo che può garantire la salute e il benessere del Blues, culturalmente e musicalmente…” L’album è stato accolto da ottime recensioni della critica di settore, ed è stato presentato al pubblico italiano con una serie di live nella tarda primavera scorsa. In una breve pausa del tour, prima della ripartenza, abbiamo intervistato Fernando Jones, per conoscere meglio la sua storia e i suoi progetti. Tu sei nato nel 1964, in pieno fermento storico e sociale del tuo Paese… com’era la situazione sociale della comunità afroamericana nella Chicago degli anni ’60 e ’70? “E’ stato un periodo in cui i neri di Chicago avevano appena ottenuto, almeno formalmente, di essere identificati come uomini “liberi” e non più come schiavi. Questa svolta è iniziata quattro anni prima dell’assassinio di Martin Luther King… gli Stati Uniti erano in guerra col Vietnam; insomma, un periodo turbolento ma ricco.” Quali sono stati i tuoi eroi? “Mio padre, mio zio George e mio zio Jackson che mi ha comprato la mia prima chitarra; i miei fratelli più grandi Foree, Marvin e Greg… questi erano i miei eroi. I miei fratelli erano musicisti fenomenali e avevo soggezione di loro. Ho fatto tutto il possibile per somigliagli… da come fumavano le sigarette, alle auto che guidavano e gli abiti che indossavano.” Nella tua famiglia quindi c’erano già altri musicisti. Quanti di loro praticavano la musica da professionisti? “Sì, mio fratello Greg suonava l’organo, il pianoforte, la batteria, il basso, la chitarra e ha scritto anche canzoni; mio fratello Foree cantava nel giro di Buddy Guy e Junior Wells.” Ci risulta che hai iniziato a suonare la chitarra e a scrivere canzoni all’età di quattro anni… “Sì. Sono sempre stato un ragazzo che sapeva come divertirsi e tenersi occupato. Quindi scrivere canzoni per me è stato un modo per giocare con le parole e creare un mondo in cui io ero il “CAPO”. Volevo scrivere canzoni sui treni, sulle ragazze che mi piacevano… e sulle belle donne che notavo in compagnia dei miei fratelli.” Come riesci a conciliare la tua intensa attività di musicista con quella di insegnante e scrittore? “Mi viene naturale. Un giorno stavo insegnando in una scuola pubblica di Chicago e solo per caso è capitato che avevo una chitarra con me. Ho finito presto col programma… e avevo altro tempo a disposizione prima di finire la lezione… così ho iniziato a suonare per i miei studenti. Questa esperienza è molto piaciuta, a me e a loro, tanto che da quel giorno i miei due mondi… accademico e della musica, si sono sposati.” Hai fondato un ‘organizzazione, la Blues Kids of America, ci spieghi di cosa si tratta? “Blues Kids of America è un programma didattico multiculturale con al centro la Musica (interdisciplinari arti-in-educazione) per i bambini in età scolare. Vuole essere un metodo per la valorizzazione di talenti che altrimenti rimarrebbero inespressi.. e anche una sana formazione per mezzo della musica e non solo.” Immaginiamo che hai altri progetti nel cassetto da sviluppare… “Si, sono sempre impegnato con nuove idee da sviluppare. Tra le altre… ho un progetto di musica dance da realizzare con l’incisione di un disco destinato ai bambini. Poi mi piace molto dipingere e disegnare… tutte cose che mi prendendo un bel po’ di tempo. Sappiamo che ti rivedremo presto in giro per l’Italia… “Sì, l’Italia è sempre il primo paese ad invitarmi in Europa. Intanto spero di poter essere di nuovo qui nel mese di agosto e di avere l’opportunità di tornare con il mio trio di Chicago. Spero anche di realizzare un Blues Camp anche da voi.” Mentre scriviamo ci arriva in redazione una felice notizia… Fernando Jones sarà ospite il prossimo 15 ottobre al 6° Raduno Nazionale “Blues Made In Italy“ a Cerea…

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