Il disco, con la cover curata da Marco Cella con la direzione artistica di Gian Luca Fracassi, è anticipato da Contro il mondo, lead single e biglietto da visita di una band che non ha rinunciato né al citazionismo né al criticismo, affidandosi a un familiare mix di osservazioni di critica sociale – accumulando una serie di cliché cari all’intellighenzia alternativa (il Primavera Sound) o ammiccamenti a una certa frangia di scontenti radical chic del nostro paese (la sinistra che non c’è) – e riferimenti alla cultura pop. Dal punto di vista musicale, spinto da riff di sintetizzatore estremamente orecchiabili, è una canzone che mostra assonanze classiche dei Baustelle (dai Pulp a Battiato) e fa venire in mente, in particolare, Amanda Lear, primo singolo estratto dal primo dei due capitoli del precedente lavoro. Lo ricorda e per i suoni, e per il modo in cui una storia d’amore sembra raccontata a posteriori con disincanto e uno spiazzante cambiamento di prospettiva. L’ironia che all’inizio sembra leggera, bonaria e accondiscendente cede a flash di pura disillusione («perché l’amore rende ciechi se c’è / e non distingui Silvya Plath da un parassita») e a un finale totalmente caustico («Indosso il mondo e lo venero come una sfera tascabile divinità / inossidabile vuoto del cazzo che non muore mai»).