Birthing è un titolo che racconta già la sua storia. Un atto di generazione, ma anche una forma di lacerazione e violenza primordiale. Gli Swans hanno sempre lavorato a partire da una contraddizione di fondo: il desiderio di potenza monolitica e il bisogno di autodistruzione, la bellezza e la brutalità come due facce della stessa medaglia. Su Birthing, questo conflitto raggiunge una forma quasi ascetica.Ogni volta che sembra arrivare un’esplosione, Gira trattiene. Ogni climax è un’illusione ottica. Invece di salire, il brano si piega su sé stesso, ritorna all’origine. E allora ti rendi conto che questo non è un disco sul cambiamento. È un disco sul persistere. Su cosa succede quando tutto resta. Quando lo stile diventa status.Eppure, per Gira e soci la ripetizione non è mero loop, ma un dispositivo che riscrive il tempo. Non un tempo lineare, ma un tempo liquido, dove passato, presente e futuro si mescolano in una sospensione inquietante; un’idea che si riflette nel modo in cui Birthing richiama i lunghi esperimenti psichedelici di Ummagumma, ma rovesciandone il registro. Dove i Pink Floyd suonavano espansioni lisergiche, gli Swans suggeriscono il contrario: il disfacimento progressivo del suono in una dissoluzione che diventa forma.