Nuovo album per il chitarrista Dewey Mahood, un progetto solista d'impianto psichedelico al debutto presso Thrill Jockey. Il senso del lavoro è espresso proprio dal suo stesso titolo. In Spirits, attraverso un suono meditativo e ritualistico, Plankton Wat aspira all'evocazione di spiriti ancestrali. Partendo da un impianto all'incirca lo-fi e registrando quasi interamente in solitudine (unico ospite è Dusty Dybvig degli Edibles, nella title track) con un vasto parco strumenti - oltre alle chitarre, harmonium, drum machine, batteria e sintetizzatori - Mahood sviluppa partiture su terreni placidi e sospesi, rievocanti un immaginario tanto etnico (Broken Slumber, Islands), quanto puramente hippy (la stessa title track). Il tutto richiama ora i raga induisti dei Popol Vuh su batterie elettroniche polverose (ancora Islands), ora gli scenari desertici del Ry Cooder texano (Portland Western Cross), ora le distese sperimentazioni di Alice Coltrane filtrate dal Santana dei primordi e da un'idea di Durutti Column. La suggestione è indubbia: i brani sono estatici, comunicano davvero una sorta di sospensione sensoriale da trip nel deserto e Dewey ha una storia lunga e articolata (che passa, attraverso varie sigle, dal punk, all'hardcore, sino al rock sperimentale) che merita rispetto. La verità però, è che l'idea di base che agita Plankton Wat è vetusta e non basta la visione retrospettiva, postmoderna, a renderla più attuale. Meno che mai se ricostruita seguendo modalità già ampiamente risapute. http://julietippex.com/