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PAUL SCHÜTZE

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PAUL SCHÜTZE Site Anubis (Big Cat) E' indubbio che la figura di Paul Schütze si collochi all'esatto crocevia di quelli che sono i più quotati "trend" attuali: la riscoperta della "musica per ambienti" di Brian Eno, iniziata negli ambiti Techno e poi virata in salsa "isolazionista" con l'aggiunta degli esperimenti sul suono dei "massimalisti" americani (La Monte Youngh, Phill Niblock, Pauline Oliveros) e dell'elettronica anni '60; le "musiche possibili del Quarto Mondo" di Jon Hassell, e le meno sofisticate concettualmente (ma immensamente più popolari) suggestioni "World" del disco di Brian Eno & David Byrne; e ancora un'altra riscoperta ma questa volta di una ben più geniale fusione di "primitivismo" e tecnologia, (di più, in effetti una spettacolare lettura sincronica e diacronica nel tempo) con "Bitches Brew" di Miles Davis. Schütze è poi naturalmente un seguace dello "studio di registrazione come strumento compositivo" (per usare la celebre enunciazione di Eno), quella che in effetti si è dimostrata la pratica più produttiva (anche e soprattutto in senso anche accademico) dell'ultima metà del secolo (da Pierre Schaeffer alla Jungle) e che, con l'avvento del campionatore e di generi come l'House e varianti si è diffusa appunto negli studi-casa di tanti piccoli "genietti" della manipolazione sonora. Ma già ben prima della Techno, tra fine '70 e primi '80 la lezione di Schaeffer veniva applicata, tagliando e montando nastri, da tanti "home-tapers" industriali, ed in questo circuito, ad imitazione dei procedimenti della mail-art, nacque la voga della "collaborazione a distanza", cioè la composizione di un disco senza che i musicisti si incontrassero fisicamente, ma scambiandosi invece nastri (o magari usando il telefono, come fecero gli Psychic Tv con "Monte Cazazza" o hanno fatto recentissimamente gli X-Ray Eyes per l'assolo di John Edwards nel loro ultimo CD!) da usare come base e manipolare a piacere (il primato in questo campo dovrebbe addirittura spettare all'Italia: l'LP "Xtra0982" della Trax di Vittore Baroni pare infatti sia stato il primo a venire interamente realizzato con questo metodo). Chiaramente mai la pratica dello studio di registrazione riflette se stessa come nei procedimenti "plagiaristi", di cui quello che si potrebbe chiamare un "secondo livello" (dopo il semplice uso di dischi altrui) è stato sperimentato per primo da Bob Ostertag, che già alla fine dei '70, usando sistemi di nastri e synth autocostruiti, interagiva dal vivo con altri musicisti, manipolando in tempo reale i loro suoni; più recentemente, nel '93, ha ideato il geniale progetto Say No More, in cui, mettendo in campo la dicotomia improvvisazione/composizione, aveva campionato le improvvisazioni in solo di tre musicisti costruendo con esse delle improvvisazioni/composizioni "di gruppo" (meno riuscito il suo tentativo successivo con la forma-canzone, nel "Fear No Love" su Avant). "Site Anubis" (apparentemente parte di una trilogia comprendente i precedenti "New Maps Of Hell" e "The Rapture Of Metals", ora ristampati dalla Big Cat) è stato composto similmente, per passaggi e manipolazioni successive. Assemblato un cast stellare (Bill Laswell, Raoul Björkenheimdei Krakatau, il clarinettista Alex Buess dei 16-17, il batterista dei Pablo's Eye, Dirke Wachtelaer, Julian Priester al trombone e - dulcis in fundo - l'ineffabile Lol Coxhill a suo agio come noto in qualunque contesto lo si metta, dai Damned alla Company), Schütze ha cominciato spedendo le sue basi di tastiere a Laswell, che aggiunte le sue parti ha passato il nastro a Wachtelaer e così via. Alla fine il tutto è tornato nelle mani di Schütze che (rivelava in un'intervista a Wire, il luglio scorso) ha penato non poco per cercare di ricavare un'autentico suono di gruppo, come se i musicisti si fossero effettivamente incontrati. I riferimenti sono quelli citati in apertura (più Eno ed Hassell che Davis, comunque): sull'inesausta e sensuale base poliritmica di Wachtelaer si dipana dunque un suono estremamente elaborato e stratificato, che costituisce assieme il fascino ma forse anche il limite del disco (le parti fiatistiche in particolare appaiono eccessivamente sommerse). Un paragone (forse non del tutto corretto) ci fà preferire il lavoro più semplice ma più convincente della versione (Ambient) di "Execution Ground" dei Painkiller, ma il lavoro (proprio come tanto Trip-Hop e Jungle) merita assolutamente l'ascolto oltre che per i risultati attuali (la felicità di certe intuizioni nei dettagli) anche per le possibilità ulteriori che lascia presagire.

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