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ELK CITY

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ELK CITY “Hold tight the ropes” (Talitres/Audioglobe) Trio newyorkese talentuoso e dotato, affrancato da mode e canoni, profondamente ispirato nel dare libero sfogo creativo alle sue fantasiose divagazioni folk-rock, Elk City giungono al secondo albo consegnando alle stampe undici canzoni dove il sacro fuoco dell’ispirazione la fa da padrone assoluto, permeando da cima a piedi tutti i mirabili episodi della raccolta, che coniuga alla perfezione la tradizione “roots” della West Coast con l’energia post punk del miglior indie rock americano degli ultimi anni. Quando arrivi al terzo brano hai già sentore e presagio di essere di fronte ad una cosa enorme, e questa sensazione, non meramente epidermica, si trasforma in certezza matematica quando ti rendi conto che non ci sono cadute di tono, che l’albo abbonda di ispirazione genuina, melodie torrenziali, voci angeliche e potenti, in un connubio stellare che unisce nostalgia per il buon vecchio rock con l’angst delle nuove generazioni. La peculiarità distintiva della band deriva dalla riuscitissima alternanza delle due bellissime voci del chitarrista Peter Langland-Hassan e della bassista Reneé Lobue, i quali, facendo risaltare i loro simmetrici controcanti sulle invenzioni chitarristiche del primo, plasmano canzoni che, pur complesse nelle loro architetture barocche, avvincono per le melodie ora solari ora oblique, ricordando da vicino, per potenza, espressività e furore, Patti Smith e Television, Smiths e Neil Young, primi Radiohead e moltissime altre (belle) cose accadute nel mondo del rock negli ultimi trent’anni. L’arma segreta del gruppo risulta poi essere il batterista e produttore Ray Ketchem, un moto perpetuo di ritmi sincopati e controtempi godibilissimi, genio tentacolare in grado di usare lo studio di registrazione come un ulteriore strumento, per garantire la giusta atmosfera crepuscolare alle canzoni propulse dall’incandescenza bruciante del gruppo. Canzoni talmente belle che è anche un delitto cercare solo di descrivere, visto che il rischio di cadere nella retorica mi ha già ampiamente catturato... L’iniziale “Indiana” brucia di melodia irregolare e straniante, basandosi sul chitarrismo formidabile di Peter, sul controcantro celestiale e torrenziale dell’affascinante Reneé, una voce incredibile che si arrampica in cielo; “Once and for all”, harmonica e chitarre acustiche, placa i toni andando ad adagiarsi su praterie bucoliche di rilassatezza spirituale, “Smile” prosegue serena quel sentiero con l’hammond, ma “Don’t fight what you’ve become” rialza i toni tornando al torrido brillare di folk rock e pop psichedelico che è alchimia esperita con enorme savoir faire dai geniali Elk City. “Athens bothanical”, “Rosemary”, “Football”, “K-mart” (una melodia tradizionale incastonata su feedback esaltanti di furore chitarristico), “Crimson”, “Summer song”, “Back into my life” sono le altre gemme custodite nella dimora “out of time” di questi amabili neo-tradizionalisti americani. “Hold tight the ropes” è un disco destinato a conquistare moltissimi cuori, non solo il nostro... (www.talitres.com, www.elkcity.net, www.audioglobe.it).

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