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DOVES

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DOVES Lost Suls Buoni segnali dalla vecchia Terra d'Albione. Questa volta arrivano dall'ineffabile emai avara Manchester, quartier generale di questo mirabolante trio che risponde al nome di Doves. Guidati dal cantante Jimi Goodwin, al quale si affiancano il fratello Jez e tale Andy Williams, i nostri ci avevano già provato nei primi anni '90 sotto il nome di Sub Sub. All'epoca, bazzicando nei territori della dance più ibrida, avevano messo a segno un dignitoso hit ("Ain't No Love Ain't No Use") salvo poi sparire nel nulla. Ritornano alla ribalta oggi, sotto nuove spoglie, spalleggiati dalla combattiva Heavenly Recording: un paio di ep di rodaggio e poi, eccoci qua, il fatidico debut-album. Sorprende all'istante il bell'equilibrio che governa i suoni e le atmosfere di tutte e 12 le canzoni di "Lost Souls". Per quanto protagoniste assolute, le chitarre non prevaricano mai il pregevole lavoro svolto dalle tastiere (sempre misuratissime), dal basso profondo e da una batteria particolarmente efficace e mai sopra le righe. La voce di Jimi, assuefatta (come egli stesso ammette) a uno stile che spazia da Terry Hall a Mark Hollis passando per Scott Walker, si mostra dotata di un indubbio pedigree. Voce che si rivela a noi dopo un introduzione tutta strumentale (i 4 minuti e mezzo dell'ammaliante e parecchio 'doorsiana' "Firesuite"), nella bellissima "Here It Comes", pop song scintillante con retrogusto agrodolce: uno squisito gioiello di grande forza melodica, una canzone di quelle inossidabili alla prova del tempo. Si passa quindi a "Break Me Gently" e il registro, questa volta, è decisamente onirico: chitarre in slow-motion, voce in scatola, narcosi (ipnosi...) garantita. Gli occhi tornano a spalancarsi con "Sea Song", ballata elettroacustica di stampo smithsiano (con echi di certo pop-rock dei primi '8O), malinconica, andatura ondeggiante. Pochi minuti più avanti incontriamo "Rise": qui 1a seduzione è affidata a un elegante gioco di riverberi elettrici, con la voce di Jimi che vibra come un Hammond in mezzo a suoni siderali subito 'umanizzati' dall'ingresso in scena di un'armonica spiazzante e molto, molto indovinata. Con la title track "Lost Souls", ci si ritrova poi in zona Radiohead: la struttura del brano (a episodi, quasi, a fasi, a strappi) riprende certi schemi sperimentati in "OK Computer" la canzone, splendente di chitarre in Cure-style ci mostra i Doves, abili tessitori di buoni intrecci sia vocali che strumentali. Deliziosi (forse i più belli dell'intero album) i tre minuti e mezzo di "Melody Calls", ballad dalla cadenza irresistibile, stilisticamente fuori dal tempo, con un'armonica da manuale a fare da contrappunto agli scanzonati coretti che ne esaltano il finale.

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