DANZIG "6:66 Satan Child" Dopo un album davvero mediocre come "Blackacidevil", non era affatto scontato un ritorno di Danzig ai livelli di brividosa intensità dark-metal che l'avevano contraddistinto nella prima metà del decennio; invece un bagno di umiltà nella produzione indie è stato salutare all'Evil Elvis, che giunto al sesto atto della sua malevola saga, ha voluto 'onorare' un titolo prevedibile quanto esplicito, "6:66 Satan Child". L'ex-leader dei pionieri punk-goth Misfits, non ha voluto sfigurare nel confronto con i suoi vecchi compagni, risorti via Roadrunner con un nuovo disco tutt'altro che esaltante. Meglio, molto meglio questo "6:66", che segna la rinascita del diabolico stile dei Danzig, dopo il tedioso esperimento industriale di "Blackacidevil", un inaudito crollo rispetto alla maestosa cappa d'oscurità di "4P". Non è impresa da sottovalutare la risalita a quei livelli, che Danzig opera ricollegandosi alle sonorità cupe e vibranti del suo stesso passato, e rinunciando molto spesso agli effetti tecnologici/computerizzati della piatta opera 5. In apertura, tale è il messaggio di "Five Finger Crawl", anche se la successiva "Belly Of The Beast" riesce ad amalgamare con successo le due operazioni stilistiche, con la mediazione di un memorabile refrain, nella più classica tradizione forgiata da Mr. Glenn. Di quale satanica intensità sia 'riposseduto' il sound di Danzig lo confermano "Lilin" e "Apokalips", con il loro riff sismico che scuote gli speakers nella miglior regola Sabbathiana, e la raggelante "Firemass", velata di atmosfera da thriller. Glenn è di nuovo al top della forma, sorta di 'bestiale' reincarnazione Morrisoniana dagli accenti perversi ed incubici. Ovviamente non c'è nulla di rivoluzionario in "Satan Child", non si può certo pretendere la carica innovativa degli esordi, ma è già un successo per Danzig riproporsi ai propri migliori standards. In fondo, quanti gruppi a carriera inoltrata non hanno già iniziato un irreversibile declino?