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DJANGO REINHARDT

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DJANGO REINHARDT Dalla Musica Gitana alJazz Nel jazz le influenze musicali sono molteplici, le combinazioni di suoni innumerevoli, la musica popolare una fonte inesauribile di idee e ricerche; i musicisti capaci di apportare uno scarto considerevole sulle traiettorie tracciate da altri, però, pochi. Djany,o Reinhardt è senz'altro fra questi e nella ricerca sul suo strumento (la chitarra) è stato sicuramente un esponente di spicco. Zingaro di lingua francese, nato in Belgio, a Liverchies, in un carrozzone il 23 gennaio I910, segue la sua tribù in Francia, Italia e nord Africa. A dodici anni suona la chitarra e il banjo nelle sale da ballo parigine con i fisarmonicisti G»eris, Jean VaissaXe e Oratrice Alte^atdFer. Nel 1928 sfugge ad un incendio del carrozzone, ma rimane gravemente ustionato alla mano sinistra, due dita della quale restano semiparalizzate. Nonostante tutto continua a suonare in vari locali a Tolone Cannes, Parigi, viene notato da Coeteaw e lWistilqguet e, in un momento in cui il jazz comincia ad essere scoperto in Europa, viene fulminato dai dischi di Lauis Armstrong Lake Ell~gtan, Joe Gemiti ed Empie La~~tg. Frequenta i jazzisti Steph*~e Me"'gh, Andrà lBkyan e Atix Combelle e nel 1934, in occasione di un incontro con Sttphane Granelli crea un quintetto di corde (violino, tre chitarre e contrabasso) patrocinato dall"'Elot Cecil) dt Fradice". Le prime registrazioni del gruppo rivelano in Francia e nel resto dell'Europa il genio di Django. La sua musica è il risultato dell'incontro fra l'eredità zingara (appartiene al ceppo manouche, diverso da quello gitano, il cui riferimento musicale è soprattutto il flamenco) e il jazz anni '30, folklori nati nei ghetti ai margini delle cul ture ufficiali, accomunati dall'uso dell'improvvisazione. Grazie all'acquisita popolarità della sua rnusica, la vita di Django cambia: tiene concerti, tournées e incide dischi con alcuni solisti americani: Co}eman Halvkins, Arthur IIP;g5SS, penny Carter, 1""1 Cobes~e, Fletcher Allkn. Apre un locale tutto suo, "La Rolllo-tte'', ovvero "Chez Djato Rehiltrd~", e va ad abitare con moglie e figlio in un sontuoso appartamento su~;t,li Champs Elysees. Suona in questo periodo con alcuni dei suoi idoli degli inizi: Louis Armstrong„ i GUi primi dischi l'avevano commosso fino alle lacrime, e Duke Ellington. Nel 1940 il suo quintetto in una nuova formazione senza Grappelli, coglie un successo di pubblico con "Nustes". Fallito il tentativo di tornare a suonare con Grappelli alla fine della seconda guerra mondiale, continua a suonare, spesso accanto a giovani "boppers". Partecipa a trasmissioni radiofoniche e tournées (soprattutto in Italia), dedicandosi contemporaneamente alla pittura e, infine, nel 1953 muore a Fontainbleau, in Francia, colpito da un ictus cerebrale. Django Reinhardt è stato in effetti un genio al pari di Mozart, quanto a facilità di scrittura dotato di un orecchio e di una memoria eccezionali, benché non sapesse leggere uno spartito e fosse costretto a dettare sulla chitarra le sue composizioni ai partner. I suoi assolo sono un esempio di contrasti arrnonizzati; alternano il single note a sequenze accordali modernissime e ad un gioco a ottave che, dopo di lui, il solo Wes Montgomery riuscirà a superare, elevandolo a sistema cornpiuto. Il suo fraseggio è ricco di portamenti e ornamentazioni che risentono del virtuos smo violinistico tipico dei musicisti tzigani. Tutto ciò nonostante le due dita semiparalizzate della mano sinistra compensate quasi totalmente da un uso straordinario del plettro (con la mano destra). Fra gli anni '40 e' 50 si trova accanto naturalmente al movi- mento "bop", perché da sempre aveva usato accordi di pas saggio, fraseggi con la quinta diminuita con la complessità ritmica tipica dei primi "boppers". Fu quindi in grado di comprendere benissimo Parker e Gillespie e, nel passaggio alla chitarra elettrica, intorno al 1947, si permise di rendere il proprio Sile più "americano". I brani del suo repertorio sono es senzialmente di tre tipi: uno costituito da canzoni di successo, americane, francesi o pescate nel repertorio dei "traditio nal"; un secondo formato da canzoni originali in tempo medio-veloce, scritte sulla falsariga degli "evergreen" o su bre vi spunti tematici, una specie di riff gitani, che diventano il punto di forza per le sue improvvisazioni; il terzo infine di brani di impronta impressionistica, crepuscolare, dalla vena malinconica, si B mili alle "ballad" e generalmente bene elaborati, con melodie dolci e dalle linee superbe, molto usate alla fine della sua carriera. Certamente Django Reinhardt fu - come tutti i jazzisti - un solista, un miniaturista, attento al particolare. Non possedeva la forma mentis ne la tecnica per affrontare le grandi forme armoniche (la suite "Manoir de mes reves" del 1943 fu un mezzo fallimento), ma sapeva dilatare con l'improvvisazione le agili strutture sonore da lui create, sfruttandone la forte caratterizzazione melodicoritmica ricca dell'uso del plettro. Strumentista grandissimo e creativo, non fu un caposcuola - ebbe solo imitatori - ma la sua opera è ancora oggi fonte di ispirazione in tutte le forme di espressione musicale, non soltanto jazz.

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