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FULL VACUUM

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Se mancava un potenziale esponente di un ancor più potenziale filone Gonjasufi, il progetto Full Vacuum colma la lacuna, mettendoci un grandissima dose di personalità, nello specifico quella di Davide Irakeno Barca. Membro del collettivo anconetano Banana Spliff, formazione hip hop composta di autentici veterani del microfono e figure storiche di questa cultura in Italia (si parla di gente che c'è da almeno 16 anni, affiancata a esponenti della generazione addirittura precedente), si allontana temporaneamente dalla formula rap e si approccia alla musica in senso lato con un progetto che si presenta come un felice ibrido tra molte cose, grazie all'aiuto di diversi musicisti che hanno partecipato al progetto in sede di arrangiamento e all'apporto, fondamentale, di Claudio Tagliabracci (membro di un'altra formazione marchigiana, i Neurogarage, e tra le menti dello Hell'z Eye Studio, realtà di riferimento per la città di Ancona) per quello che riguarda la produzione. hiarendo innanzitutto che il nome di Gonjasufi è stato fatto unicamente pensando a quel cocktail di misticismo e intorpidimento da psicotropi (insomma, non cercate una Cowboys and Indians italiana in questo disco) che caratterizza il santone più famoso della musica indipendente, va detto che Full Vacuum ha una base sostanzialmente reggae e dub, nonostante tanto la vocalità di Davide Barca quanto le sonorità di ogni brano si concedano spesso di andare oltre queste due coordinate principali. Prendete Lao Tzu ad esempio, parte da dei giri tipicamente reggae e si evolve fino a diventare puro calexico style, sfruttando una vocalità non molto estesa ma comunque piuttosto espressiva. L'impressione che Full Vacuum sia fortemente apolide dal punto di vista musicale viene confermata da quasi ogni traccia, dagli inserti mediorientali di Pachamama alla bassa fedeltà elettronica di un pezzo altrimenti classico come Magic Buttefly, passando per il rap tradizionale de L'uomo da un milione di lire (che nasconde anche una bella citazione di Com'è profondo il mare) e l'elettricità latente di Ovunque. La voglia di provare diversi tipi di ibridazione e inserirli tutti in un sistema ritmicamente ciclico e regolare è sicuramente il tratto distintivo di questo lavoro (che può essere lontanamente affiancato al progetto Sinfonaito di Dj Gruff), a fianco di una volontà di spiritualità che sembra chiamare in causa artisti come il primo Battiato, Claudio Rocchi o Juri Camisasca (o, se vogliamo tirare fuori un nome scomodissimo, George Harrison nella fase arancione). Gli apici del lavoro vengono raggiunti dai brani meno legati a una dimensione urbana e terrena (Sparami e L'uomo da un milione di lire sono leggermente fuori contesto, nonostante si tratti di brani gradevoli), lasciando trasparire una profondità che è anche universalità. Menzione d'onore per la bellissima (se è concesso utilizzare un superlativo) e cantautoriale ∞, che cita Conte e tradisce regionalismi così sinceri da risultare quasi poetici nella loro naiveté. In definitiva si tratta di un lavoro molto genuino e tuttavia per nulla semplicissimo, soprattutto nelle sue derive più spirituali, mentre risulta un po' meno ispirato e leggermente troppo tradizionale nei brani più classici dal punto di vista tematico (anche se, come già detto, si tratta pur sempre di buone canzoni). Ogni tanto riaffiora lo spirito di un Manu Chao ma sorge il dubbio che si tratti, più che di una ispirazione diretta, di alcune comuni fonti alla base di entrambi i progetti (che in effetti hanno in comune la volontà di essere musicalmente apolidi). Da tenere d'occhio e personalmente la mia rivelazione di quest'anno, nonostante manchi un po' di quella omogeneità strutturale che avrebbe potuto identificare maggiormente il progetto, ma si tratta pur sempre di un esordio, partendo oltretutto da un mondo, quello dell'hip hop, che non sempre fa della musicalità la propria bandiera.

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