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SCHOOL OF LANGUAGE

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SCHOOL OF LANGUAGE E' un fenomeno che a quanto pare si sta intensificando nell'ultimo periodo: i “nomi nuovi” dell'indie chiudono momentaneamente bottega e di lì a poco spuntano i lavori solisti dei transfughi. Non molto tempo fa, ad esempio, è stata la volta dei Cave Singers di Derek Fudesco (ex Pretty Girls Make Graves), e di lì a poco è toccato a Devonte Hynes dei Test Icicles ripresentatosi sotto la sigla Lightspeed Champion. Se però questi lavori segnavano una rottura coi trascorsi musicali del passato e un ritorno a forme più tradizionali (indie folk e indie pop inglese, rispettivamente), bastano pochi attimi per rendersi conto che School Of Language, progetto solista di David Brewis dei “congelati” Field Music non rinuncia alla formula musicale del gruppo d'origine, limitandosi al più a spostare qua e là i termini dell'equazione originaria. Al suo fianco troviamo membri degli, anch'essi ibernati, Futureheads: trait d'union, oltre alla cittadina d'origine (Sunderland), la comune passione per formule non lineari di pop e un amore incondizionato per gli Xtc: che questi ultimi inasprivano e inserivano in tessuti ritmici e compositivi in linea con l'exploit New New Wave, laddove i Field Music preferivano conciliarne gli spunti con spinte neo-progressive divenute lampanti nell'ultimo Tones Of Town . E a quanto pare, anche sotto la sigla School Of Language, a comandare e ad imprimere il suo marchio all'intera faccenda è proprio Brewis: inconfondibilmente sua la dote di unire paradossalmente composizioni (sempre più) ambiziose e cervellotiche ad una innegabile fruibilità pop. Il risultato è una sorta di arzigogolato marchingegno musicale sospeso tra Genesis, Elo ed Xtc che corre su un filo sottilissimo sospeso su un pericoloso baratro di sterile manierismo compositivo, ma che riesce quasi sempre a spuntarla indenne ed illeso. Il quasi è però di rigore in questo caso. Laddove infatti ai Field Music il miracolo riusciva sempre e senza alcun apparente sforzo, più volte durante l'ascolto di questo Sea From Shore si ha l'impressione che il nostro abbia cominciato a tirare, pericolosamente, la succitata corda: e se la quadrilogia, posta ad aprire e chiudere il disco, di Rockist riesce a sopperire alla magniloquenza dell'idea di fondo attraverso abili trovate melodiche, altrove (Marine Life, This Is No Fun e Extended Holiday) le contorsioni dei nostri divengono abbastanza ingombranti da aggrovigliarne inesorabilmente le pur ottime intuizioni iniziali, in una spirale di manierismo francamente evitabile. Specularmente, dove il giochino riesce appieno, negli stop&go di Disappointment '99, nel crescendo finale à-la Cornelius di Keep Your Water o nel classicismo un po' desolato ed un pò tronfio di Ships, l'impressione è quella di trovarsi di fronte ad un compositore di gran classe. Resta comunque, ahimè, l'impressione che nemmeno i momenti migliori del disco si avvicinino ai fasti dei dischi usciti sotto la sigla Field Music: quel che pare andato perso nel passaggio non è certamente l'abilità compositiva o interpretativa di Brewis, quanto piuttosto la perdita dell'immediatezza che, nonostante tutto, le composizioni dell'esordio omonimo e Tones Of Town sapevano regalare, ascolto dopo ascolto. Canzoni mai banali o semplci, che riconciliavano con le pagine ambigue della tradizione pop progressive inglese e di cui, in questo Sea From Shore, si sente irrimediabilmente la mancanza. www.schooloflanguage.co.uk www.myspace.com/schooloflanguage

SCHOOL OF LANGUAGE è presentato in Italia da PENTAGON BOOKING

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