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XELA

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Era atteso John “Xela” Twells, con il suo terzo disco. Da un lato perché The Dead Sea arriva dopo una lunga assenza, dall’altro perché si tratta del suo primo disco su Type e non ultimo, perché a dispetto della giovane età il ragazzo di Manchester è uno che precorrendo i tempi ha dimostrato di saperla lunga sugli ingranaggi dell’alternative music business, svolgendo quasi una funzione di capo scuola, di mecenate e in sostanza di propheta in patria. Quanti ricordano le asciutte e levigate fattezze glitch di lavori su City Centre Offices come For Frosty Mornings And Summer Nights e Tangled Wool o ancora le irridiscenze lynchane targate Yasume, (progetto collaterale di Xela e Logreybeam), saranno turbati, scossi e sorpresi dalle vertiginose pulsazioni sonore del nuovo lavoro. Questa volta Xela sembra sintetizzare senza soluzione di continuità, diverse scuole e diversi modi di perdersi nell’ambiente e si produce in un disco dove il suono e la sua filigrana sono un’avventura costante in cui immergersi fino ad affogare. Legato anche concettualmente ed iconograficamente ai temi del mare, dell’abbandono, della deriva, Xela prende il largo con complessi montaggi di droni, note riverberate e sostenute, registrazioni sul campo, samples e concretismi di ogni sorta. C’è davvero di cui perdersi in costruzioni stratificate fino all’eccesso come Linseed, Drunk On Salt Water o Creeping Flesh. Acquista la sua importanza anche l’elemento drone folk. Xela si riallaccia tanto alla scuola neo zelandese dei vari Alastair Galbraith, Roy Montgomery, Peter Wright quando agli asceti americani del Jewelled Antler Collective, Glen Donaldson e Steven R. Smith in primis. Wet Bones riassume tutto in poco più di quattro minuti di emozionanti capogiri, che partono da languidi concretismi alla Thuja e finiscono in elegia pagana come scene da un’isola del sud. Per non dire della magnifica Humid At Dusk che vive dello stesso senso di ineluttabile e immanente infinito che abita da sempre nei dischi di Steven R. Smith. Non ultimo Xela, anche per sua stessa ammissione, prende spunti a iosa dal thrilling e dall’horror italiano anni 70 e 80 e dalle rispettive colonne sonore. C’è sicuramente del kitch nel citare Fabio Frizzi e le sue soundtrack per Lucio Fulci, come Gates Of Hell o The Beyond, arrivare ad imitare l’elettronica vintage dei Goblin stile Dawn Of The Dead nella bellissima Savage Ritual o ancora il John Carpenter dei primi anni 70 in Creeping Flesh, ma del resto il Nostro si è divertito a smerciare in occasione di Halloween un 7’’ a tiratura limitata, con tanto di iconografia black metal, dove rifà il tema carpenteriano di Halloween e quello di Suspiria, per cui non c’è da sorprendersi più di tanto. The Dead Sea è un piccolo ed emozionante White Album per tutte quelle sonorità che si allineano lungo le coordinate dell’ambient e del drone folk e si prende di diritto un posto in prima fila nel catalogo Type. Uno dei migliori dischi dell’anno. Almeno per questa volta gli allievi non superano il maestro. www.learnwithxela.com www.myspace.com/learnwithxela

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